DEVIAZIONI


Quotidiani gesti, rituali ripetuti eppure la vaghezza mi prende. Quello sfiorare la realtà senza calpestarla mai sul serio, con l’ironia di chi non crede tanto di essere lì, ma non sa neanche dove si trova davvero. Allora realtà e sogno si fondono in una treccia di inconsistenza.
Incontrare, parlare, scherzare, in questo ufficio oppure altrove, il lavoro, le amiche…eh sì, ma non riesco tanto a stare lì. E’ come sdoppiarsi o forse no, il fatto è che sto cercando altro, non posso fermarmi in questa paludata realtà. La mente o qualcos’altro in me cerca incessantemente parole, pensieri, un significato in ogni cosa, travalica le pareti di questo moderno edificio già vetusto e sconquassato, contatta idee e forse nel profondo cerca risposte, formula domande impossibili, protesa tra passato e futuro.
La gatta dell’ufficio mi attende miagolante e paurosa. Ha una fame da tigre così magra. Protendo la ciotola e intanto il sole mi acceca e potrei essere a Tunisi o chissà dove, starei così beatamente in faccia al cielo.
Ecco, in questo preciso momento, vorrei vedere auto, lavoro, cappotti, telefono e valige e tutti gli oggetti del nostro piccolo mondo in assenza di gravità, veleggianti in alto come tanti aquiloni al vento , incantata e divertita li guarderei salire al cielo, come palloncini. E immagino un mondo alla rovescia dove tutto perde peso e gli oggetti si staccano da terra, lasciandoci vuoti, senza peso, essenziali, ma leggeri.
Osservo intorno e non mi sento come tanti appaiono, intrecciati alla realtà delle piccole cose, persi in particolari che mi sembrano insignificanti. Discussioni accese su piccole, (a me sembrano) veramente troppo piccole questioni. Ma forse (penso) sono io che non vado, la realtà è anche quella delle piccole cose e forse questo distacco nasconde una presunzione, un peccato di orgoglio non tanto gratificante in fondo.
Ma, penso anche, alzare le vele e prendere il mare è troppo bello, oppure mettere le ali e volare in alto è fantastico e se aderisco poco a questo mondo in fondo ne sono contenta, mi piace, nonostante tanti momenti da disadattata cronica.
Disadattamento più sociale che naturale, perché mi inebrio invece dei profumi della primavera, della vista di papaveri e ginestre, finanche sui cigli scombinati delle strade urbane.
E una margherita vicino ad una cartaccia , simbolo della nostra becera incuranza cittadina fa sempre la sua bella figura, divino piccolo bagliore, tramite indiscusso tra me e l’eternità.

3 commenti:

Elena ha detto...

Tu lo sai com’è che mi succede no? Inutile dirlo. E c’è sempre qualcuno che vuole farti sentire un disadattato, e poi adattato a cosa? E come? Morto? So bene di cosa parli, io credo che molte persone fingano, o non riescano a capire cosa gli succede quando gli capita di staccarsi dalla realtà, che forse è un entrarci dentro meglio, non si assecondano, e a furia di cercare di “adattarsi” si ritrovano in depressione. Non ci casco. Voglio essere una disadattata. Ci tengo proprio. Siamo parecchi credimi. E anzi se mi venisse in mente di adattarmi troppo, dimmelo che mi rimetto subito in carreggiata.

EVA ha detto...

Infatti. Se sto cercando non posso stare qui, devo stare per forza altrove....è cercare il bisogno primario, quello fondamentale, una voracità di senso da bulimica.

Anonimo ha detto...

Mi piaccion le storie, raccontane altre...