IL MATTO , IL "MITO DI ER” E L’OBLIO DELLA NOSTRA PIENEZZA….


Non ho ancora finito di leggerlo, anzi l’ho appena cominciato, ma consiglio a chi non l’ha ancora fatto, di tuffarsi nelle pagine di questo libro, che pur essendo una critica incalzante ad una obsoleta psicologia, è un testo che ci parla della poesia , della bellezza, del mito e che ci fa ricordare.
Che cosa? Che siamo unici e speciali, venuti al mondo portando con noi qualcosa di fondamentale, un “gioiello” che è solo nostro, che ha determinato il progetto della nostra nascita, e che fa si che la nostra vita abbia un senso.
Il concetto fondamentale è che noi non evolviamo, semmai sviluppiamo un’immagine già tutta presente fin dall’inizio, una immagine innata, completa, l’idea cioè che ciascuno di noi è il portatore di una unicità già presente e che non chiede altro di essere vissuta e che preme per venire fuori, per esprimersi, la "ghianda" appunto.
L’idea nasce dal “Mito di Er” che Platone pone alla fine della sua Repubblica. Cita Hillman: ”Prima della nascita, l’anima di ciascuno di noi sceglie un’immagine o un disegno che poi vivremo sulla terra, e riceve un compagno che ci guidi quassù, un daimon, che è unico e tipico nostro. Tuttavia, nel venire al mondo, dimentichiamo tutto questo e crediamo di essere venuti vuoti. E’ il daimon che ricorda il contenuto della nostra immagine, gli elementi del disegno prescelto, è lui dunque il portatore del nostro destino…..E Platone racconta quel mito affinché non dimentichiamo; infatti come spiega nelle ultimissime righe, salvando il mito potremo salvare noi stessi e prosperare.”
Questo compagno, questo che i greci chiamano daimon, i latini genius e i cristiani angelo custode, è quello che unico ricorda il mito di Platone e che risuona ogni volta che ci imbattiamo nell’occasione che può svegliare questo talento che racchiudiamo dentro di noi e che ci orienta nella nostra vita, finchè un bel giorno non lo “riscopriamo”.
Hillmann compie una carrellata attraverso personaggi famosi, spiegandoci come questa “vocazione” può spaziare da chiamate innocue come la scrittrice francese Colette, passando attraverso Francisco Franco o al successo unito alla “perdizione” di Judy Garland, ma tutti questi personaggi estremi rappresentano l’emblema di come , senza alcun giudizio, si possa realizzare nel bene e nel male fino in fondo il proprio destino.
Chi di noi di fronte ad un evento, ascoltando un concerto, guardando un film, leggendo una biografia, non ha colto l’estrema bellezza di qualsiasi storia e non ha sentito risuonare dentro si sé, che oltre a quello che fa nella banale quotidianità, è anche “altro”? Chi di noi ricorda quella valigetta che portò alla nascita con il proprio talento? Il senso della vita è questo: il nostro eterno cercare, che ci solleticherà, ci tormenterà, ci morderà, finchè non troviamo la nostra unica irripetibile Verità, assoluta in se stessa.
La carta del Matto dei Tarocchi mi ricorda questo Mito: un personaggio, spesso di età indefinibile, (potrebbe essere indifferentemente un vecchio o un bambino) ad indicare il suo eterno incedere nell’instancabile ricerca e l’energia infantile che la sostiene. Ha un fardello sulla spalla, proprio quelle potenzialità, quella “ghianda”, quella valigetta con cui è venuto al mondo, un fardello leggero, perché ha lasciato ormai tutto ciò che è superfluo. Ha tenuto con sé l’essenziale, le sue risorse. E’ vestito colorato, da “matto”, perché ha raggiunto quella profondità interiore da renderlo libero dai giudizi del mondo. Cammina senza meta, quasi volando, perché il mondo è la sua casa. Ha il numero 0 , perché indica il tutto e il nulla, comprende la totalità e la libertà di associarsi a qualsiasi altro numero e diventare infinito. Non può accontentarsi di una vita mediocre, perché vuole andare “oltre”, superare i propri confini, siano essi reali, oppure simbolici, per sconfinare nell’immaginazione, oltre il possibile. E’ felice perché non ha niente da perdere. Un cane (a volte qualche altro insolito animale) gli morde i polpacci : è una forza incontrollata e istintiva che non smette di spronarlo, di spingerlo imperativamente ad andare avanti nel sentiero, è proprio quel “daimon”, quella guida, che per tutto il tragitto non smetterà di ricordagli ciò che ha dimenticato venendo al mondo: in qualsiasi luogo si trovi, ovunque vada, non ci sarà mai sosta all’eterna ricerca di quello che è il suo magico potere, il suo talento innato, la sua bellezza intrinseca.

Non posso non citare questo brano: “ I bambini cercano di vivere due vite contemporaneamente, la vita con la quale sono nati e quella del luogo e delle persone in mezzo ai quali sono nati. L’immagine di un intero destino sta tutta stipata in una minuscola ghianda, semi di quercia enorme su esili spalle. E la sua voce che chiama è forte e insistente e altrettanto imperiosa delle voci repressive dell’ambiente. La vocazione si esprime nei capricci e nelle ostinazioni, nelle timidezze e nelle ritrosie che sembrano volgere i bambini contro il nostro mondo, mentre servono forse a proteggere il mondo che egli porta con sé e dal quale proviene.”


James Hillman “Il Codice dell’Anima” - Adelphi

3 commenti:

Elena ha detto...

Credo che prima o poi ognuno si trova ad aprire la propria valigetta, (e certo mi viene da sorridere al pensiero di un certo mio post e del nome che ho poi dato al mio blog satellite..) e a scoprirne un contenuto che sospettava soltanto di avere.. o forse non lo sospettava affatto
Un abbraccio

EVA ha detto...

HO IL SOSPETTO CHE DOVRAI FRUGARCI ANCORA IN QUELLA VALIGIA, E CHISSA' COSA VIENE FUORI....

Elena ha detto...

Mia cara intanto vieni qui, che sei invitata, se puoi...

http://comeilfiumechescorre.blogspot.com/2008/03/whats-meme.html

Ciao :-))
Elena